domenica 22 agosto 2010

"Una giornata al centro" Parte quarta















Finita la stimolazione ho scattato delle foto al laboratorio manuale che solitamente compone il corpus centrale della stimolazione cognitiva, le attività infatti mirano a far lavorare diverse dimensioni e funzione del cervello, dalla memoria, all’orientamento spaziale e temporale, all’attenzione e concentrazione, fino al linguaggio e alle funzioni ad esso correlate.
L’attività proposta quella giornata e qui riportata (fig.4) vedeva la presentazione, da parte di una operatrice, di una serie di strumenti musicali provenienti di diverse parti del mondo. Questa attività aveva come focus quello di stimolare le capacità musicali, l’ascolto, l’attenzione e la musicalità di ciascuno ma senza imbrigliarla con tracce o spartiti che spesso sono ostici anche agli addetti ai lavori. Gli utenti potevano suonare ciascuno strumento liberamente e contemporaneamente ed il risultato, come è facile immaginare, è stato un movimentato e fragoroso complesso musicale ironico e strombazzante.
Successivamente si è passato ad immortalare le restanti attività della giornata, dal pranzo ai momenti di libera socializzazione, momenti questi di completa convivialità e sottile narcisismo che poneva alcuni costantemente sotto la lente della mia fotocamera.
Tutto il materiale fotografico, circa settanta foto, è stato poi elaborato al computer e restituito al gruppo, sottoforma di un vero e proprio libro-fumetto.
Una piccola precisazione circa lo strumento utilizzato mi preme farla. La veste grafica è stata scelta appositamente in modo da sopperire ad alcuni deficit che la demenza porta con sé, infatti disturbi visivi (agnosie) e difficoltà a riconoscere i volti (prosopoagnosi) avrebbero reso inutili gli sforzi realizzativi fino ad allora fatti. Posterizzare le immagini, mantenendo i colori vividi, mi ha permesso di rendere le foto sia stilisticamente credibili, per un fumetto, che visivamente riconoscibili. Non avrebbe avuto senso, infatti, restituire un fumetto in cui gli attori protagonisti non vi si potevano riconoscere. Il bianco e nero come layout mi è sembrato da subito il meno adeguato poiché rimandava un immagine troppo spenta ed inoltre poco rappresentativa del clima cordiale e vivace vissuto in quei giorni.
Importante è stato soprattutto dare spazio ad una narrazione completamente affidate agli utenti del centro, che si sono potuti sbizzarrire scrivendo le diverse didascalie e sperimentandosi per la prima volta in questo tipo di attività creativa.
Inoltre l’attività poneva come proprio centro nevralgico della stimolazione il riorientamento spazio-temporale, spesso reso deficitario dalla demenza. Le aree temporale e parietale del cervello venivano ad essere così sollecitate e stimolate attraverso la ricostruzione di diversi momenti che compongono una giornata al centro diurno, con le relativa attività ed i luoghi e spazi dove queste vengono realizzate.
Nelle diverse fasi di realizzazione non sono, ovviamente, mancati momenti di puro divertimento, i partecipanti al fumetto sono infatti apparsi compiaciuti di essere i protagonisti di un “fotoromanzo”, più vicina come definizione ai loro gusti, e anche le richieste di apparire naturali ed impegnati nelle attività, durante gli scatti, è stata accolta e assolta con scioltezza ed ironia. L’entusiasmo dei primi giorni si è protratto fino alle ultime battute, manifestato da una costante richiesta nei miei riguardi di portare il prodotto finale a suo compimento, cosa che ha richiesto un po’ di lavoro extra.
Alla fine il prodotto è stato accolto con soddisfazione ed entusiasmo ed ognuno ha avuto la propria copia del fumetto.
Questo progetto pilota ha quindi corrisposto in pieno alle aspettative che avevo circa la propria fattibilità e l’interesse che poteva suscitare nei pazienti e ritengo quindi che possa essere inserito, senza difficoltà, nelle prassi di un centro diurno per malati di Alzheimer.

"Una giornata al centro" Parte terza


Questo mi ha permesso di stimolare, nella narrazione, anche la scansione temporale delle diverse attività andando a far lavorare la memoria episodica. Inoltre il laboratorio si era posto come obiettivo, poi raggiunto, di sollecitare la creatività e il pensiero narrativo, la capacità di immedesimazione nel qui ed ora aggiungendo le didascalie alle scene preparate, ed in coerenza con esse, riuscendo a distaccare il sé percepito da quello immaginato nel fumetto, una competenza di astrazione che spesso è fortemente deficitaria in soggetti affetti da questa sindrome. Inoltre un risultato senza dubbio non trascurabile è stato quello di rimandare delle competenze ancora valide e funzionali, ogni partecipante si è sentito parte di un progetto di media lunghezza e soggetto attivo per la realizzazione del prodotto finale.
All’inizio mi sono affidato a dei disegni, da me realizzati, che riproducevano le diverse parti di una giornata tipica, in modo da facilitare l’immissione del testo nelle diverse didascalie, attività svolta esclusivamente dai pazienti. Si è passato poi alla vera e propria fase realizzativa, le foto, che sono state scattate in tre giornate diverse.
Si è partiti dalle “prime luci dell’alba” ovvero dal momento in cui il pulmino del centro passa presso le abitazioni di ciascun utente per portarlo al centro. Munito di macchina fotografica ho accompagnato i primi momenti di un utente del centro diurno, il percorso in città e l’arrivo al centro. Come si può immaginare il look delle utenti del centro è apparso subito molto più ricercato e attento ai particolari del consueto, segno questo che a qualsiasi età un po’ di civetteria non guasta mai.
Arrivati al centro si è passato ad immortalare i diversi momenti della giornata. La riattivazione motoria e la “lettura del giorno” sono due momenti cardine di inizio giornata. L’infermiera (fig.1) legge delle informazioni storiche che caratterizzano quello specifico giorno, in modo da operare un riorientamento nel tempo, mentre la fisioterapista (fig.2) si occupa della stimolazione fisica con esercizi mirati a riattivare i muscoli che con l’età sono sempre meno sottoposti a lavoro.
Prima però di cominciare questo tipo di stimolazione fisica l’infermiera (fig.3) è incaricata di misurare la pressione a tutti gli ospiti del centro, in modo da tenere costantemente aggiornato lo stato di salute di ciascuno ed intervenire con prontezza nel caso di picchi troppo sopra o sotto la media. Questo momento, come si può facilmente immaginare, è fonte di una serie di domande ed interrogazioni circa lo stato di salute di ciascuno, una bonaria e tacita gara a chi ha la pressione migliore.

"Una giornata al centro" Parte seconda


L’attività quotidiana in un centro diurno per malati di Alzheimer fonda il proprio essere su questa stimolazione multisensoriale; i laboratori, le attività manuali, le terapie occupazionali sono il fulcro su cui questa stimolazione si poggia ed hanno il fermo obiettivo di garantire all’utente un percorso di permanente riattivazione cognitiva.
L’idea di proporre un laboratorio creativo che avesse come suo prodotto finale la realizzazione di un fumetto, nasce in un contesto altro rispetto a quello di un centro diurno per malati di Alzheimer. Infatti la prima volta che presentai un laboratorio di questo tipo fu un centro aggregativo per pre-adolescenti.
In letteratura spesso troviamo riportata questa similitudine tra un malato di Alzheimer ed un infante o pre-adolescente. Infatti le competenze conservate spesso possono portare l’anziano affetto da demenza a fornire prestazioni simili a soggetti ascrivibili a quell’arco temporale. Inoltre anziani affetti da demenza e pre-adolescenti condividono una stessa gamma di emozioni, interessi, difficoltà e paure. Entrambi stanno iniziando ad affacciarsi ad un mondo del tutto sconosciuto e spesso fortemente ansiogeno. Da un lato il mondo dei dubbi e dell’identità ancora da strutturare e da scoprire, dall’altro una dimensione fosca che porta ad un lento oblio di sé o quanto meno dell’immagine passate di sé stesso.
Anche l’atmosfera tra i due centri non è del tutto differente, il carico assistenziale è pressoché il medesimo, fatta esclusione per l’enorme gap generazionale. Pre-adolescenti ed anziani con Alzheimer richiedono lo stesso tipo di intervento, la stessa pazienza, la stessa attitudine psicopedagogia, la stessa empatia, cura, attenzione ed ascolto.
Tuttavia, come si può facilmente immaginare, il lavoro fatto con gli anziani si poggia su basi di una solidità e consistenza diversi. Mentre nei pre-adolescenti la personalità lungi dall’essere formata e il bagaglio esperienziale è scarno e tutto da costruire, con gli anziani l’interazione si fa più interessante e reciprocamente soddisfacente, le competenze acquisite sono messe a disposizione dell’interlocutore che si trova ad essere supportato e coinvolto, la visione del mondo si allarga fino a comprendere differenze che possono sfuggire ad un occhio inesperto ed ancora immaturo e il corpus di sentimenti ed emozioni è diventato con gli anni più stabile e fermo.
Nell’interazione si deve partire dalla consapevolezza che l’anziano, pur affetto da demenza, è portatore di queste caratteristiche e qualità, è un interlocutore ancora assolutamente valido che può, se opportunamente sviluppate e stimolate, mettere a diposizione le proprie esperienze e competenze. Far sentire all’altro che riponiamo ancora della fiducie nelle sue capacità e che ci aspettiamo ancora qualcosa da lui produce come effetto quello di rinvigorire e motivare uno spirito, che altrimenti rischia di cedere il passo alla patologia, lasciandosi avvincere e sconfiggere. Partendo da questi presupposti la scelta per dei laboratori e delle attività stimolanti mi hanno convinto a non scartare da subito tutte le opzioni solo perché il destinatario era affetto da una particolar deficit sia esso cognitivo e/o comportamentale.
Quindi mi è sembrato per certi versi conseguenziale proporre alcune delle attività fatte con i ragazzi al centro diurno per malati di Alzheimer. In particolare il fumetto è sembrata essere la sfida più interessante.
Una serie di interrogativi si imponevano circa la possibile realizzazione di qualcosa che anche con i pre-adolescenti è sembrata piuttosto ardua. Ovviamente il laboratorio in questione ha avuto una struttura diversa da quella proposta al centro aggregativo. Infatti il tema da trattare è stato scelto in modo da perpetuare l’obbiettivo macro a cui tutte le attività di un centro diurno per malati da Alzheimer tendono, il riorientamento, la stimolazione della memoria e delle altre funzioni cognitive. Il tema su cui il fumetto verteva era la descrizione di una giornata tipo al centro diurno.

"Una giornata al centro" Parte prima


Recenti statistiche pongono il nostro paese tra i primi al mondo per numero di anziani rispetto alla popolazione media. Questo dato che sembra rincuorare i più poiché è indice del buono stato di salute della popolazione italiana, è tuttavia accompagnato da un altro, in netta controtendenza, che indica che nel nostro paese il numero delle nascite è calato progressivamente dagli anni 60 ad oggi. Come sappiamo questo dato se da un lato sembra confortare coloro i quali vedono allungare il proprio destino di vita, dall’altro, in una previsione a lungo termine deve invece metterci in un ottica di necessario riequilibrio.
Una vita che si allunga è ovviamente il risultato di una serie di fattori che incidono positivamente sul benessere di una popolazione; la dieta “mediterranea”, il clima ed una certa educazione alla salute hanno promosso uno stile di vita sano che ha prodotto, col passare degli anni, il superamento di una soglia di età, i 60-70, che fino al secolo scorso sembrava essere proibitiva. Un paese con un alto numero di anziani, nell’immaginario comune, può essere percepito come un paese maturo, solido, capace di sfruttare l’esperienza e la tempra della propria gente, questa percezione, in parte veritiera, dall’altro lato mostra il fianco a tutta una serie di debolezze che accompagnano l’ultima fase della vita di ciascuno di noi.
La vecchiaia è infatti il momento in cui le facoltà psichiche si affinano e il bagaglio di esperienze costruito durante l’intero iter esistenziale inizia ad operare come compensatore a quei piccoli segni di cedimento che il corpo inizia a manifestare. Vengono ad incontrarsi due istanze contrapposte, la mente forte dell’esperienza e il corpo reso fragile dal passare del tempo.
Sempre più spesso, e sono altri dati statistici ad informarci di ciò, lo stato di salute fisico intacca progressivamente anche la mente e le sue funzioni, imbrigliandola e costringendola a fare i conti con l’età. Tra le diverse patologie legate all’età scuramente le demenze sembrano incarnare meglio questo attacco del corpo alle funzioni della psiche e tra queste la demenza di Alzheimer è quella che in Italia e nel mondo sembra farsi largo con maggiore forza e pervicacia.
La demenza di Alzheimer è una sindrome cronico degenerativa che colpisce il cervello e le funzioni ad esso associate. Questa specifica tipologia di demenza limita progressivamente le funzioni del cervello, le sue competenze specifiche, provocando anche uno sconquasso emotivo sia nel soggetto colpito che nella famiglia che gli è accanto. Le capacità sulle quali ha sempre fatto affidamento vengono ad essere gradualmente limitate ed il raggio d’azione a cui la persona è abituata diminuisce giorno dopo giorno, limitandone lo spettro.
La persona colpita da Alzheimer vive questo attacco alla propria identità opponendo una serie di sentimenti e comportamenti che spesso scuotono il sistema famiglia sin dalle fondamenta. La persona, che sente un progressivo limitarsi delle proprie capacità, passa dalla preoccupazione, all’ansia fino alla paura che porta necessariamente ad una rassegnata chiusura verso il mondo esterno.
Questo processo a cascata rischia di accelerare gli effetti distruttivi dell’Alzheimer, anticipando anzi tempo il momento in cui la persona diventerà completamente dipendente dai propri familiari.
Parlare di riabilitazione nella demenza di Alzheimer è piuttosto utopico si deve al contrario puntare su una costante e articolata stimolazione plurima dei sensi e delle funzioni cognitive, in modo da non lasciare mai il passo alla cavalcante regressione strutturale e funzionale causata dall’Alzheimer. L’imperativo può essere pertanto solo quello che si affida alla stimolazione e sollecitazione delle competenze conservate in attesa che i progressi medici possano ovviare alle carenze provocate dalla demenza.

"Una giornata particolare" Parte quinta

Ma il turno è il turno e la signora dovrà aspettare ancora un po’; a turno, tutti i giorni si viene alzati per primi e poi per ultimi. Ma ora tocca a me.
Ore 8:00 la doccia.
Questo è il momento più critico, quello di maggior coinvolgimento a causa anche del forte imbarazzo. Se da mesi giro per la struttura in giacca ora uno di loro dovrà vedermi nudo. Coraggio e rassegnazione.
Arriva l’assistente che avrà l’ingrato compito di farmi le abluzioni mattutine. Anche lui mi spiega come si fa in questi casi, è paziente e mi chiede se ho dormito bene, mi porta un paio di ciabatte e mi inizia a spogliare.
Mi controlla gli eventuali decubiti, caviglie, sedere e osso sacro e mi issa sulle spalle. Faccia a faccia come non avrei mai pensato di trovarmici. Resto così nudo e inerme davanti a lui, che con professionale e garbata non curanza mi fa appoggiare sulla carrozzina per condurmi a fare la doccia. Sotto la doccia i movimenti sono meccanici, ma umani, sdrammatizza parlando della sua vita e mi conduce dolcemente lontano da quel momento e dall’imbarazzo che provo ad essere toccato in zone che credo siano state solo lontanamente viste da mio padre quando ero ancora in fasce. Dalle mie parti si dice che i figli sono delle madri e ad un padre certi oneri non toccano.
L’assistente mi asciuga con cura, si china e mi avvolge i piedi nell’asciugamano, riportandomi alla memoria, come una magdalen sacra ad un lavaggio ben più importante, ma fatto credo con la stessa cura.
Finito l’operazione mi poggia sul letto e mi riveste con attenzione, gli slip ben tirati, prima la testa o il braccio per la canottiera, un passante della cinta saltato, lui che si cala per mettermi le scarpe; tutto è placido e da i brividi, si stabilisce una connessione intima alla quale è meglio non ribellarsi, che va accettata perché quello è il suo lavoro e sa farlo.
Lo ringrazio di cuore, perché tutto è passato senza strappi o forzature e alla fine ho capito quello che dovevo capire.
Non mi resta che fare colazione, allora mi accompagna e mi lascia al tavolo, dove divoro una zuppa di latte resa quasi “amniotica” dal quantitativo dei biscotti che ho disciolto.
Dopo di ciò mi guardo intorno in modo un pò furtivo e finalmente mi alzo.
Fine

"Una giornata particolare" Parte quarta

Nel qui ed ora siamo una coppia affiatata che ride e scaccia ogni intrusione esterna. Le battute provocatorie della mia compagna non si fanno attendere, ma so che tutto è permesso quando due persone sono divise da più di mezzo secolo.
Una volta le ho chiesto se la ginnastica le fosse piaciuta e lei, nascondendo un sorriso malizioso tra le mani mi ha risposto che avrebbe preferito farla con me, la ginnastica. Da allora tutto è diventato simpaticamente lecito.
Dopo poco mi tocca abbandonare la stanza per dirigermi dall’altra educatrice e saggiarne le attività. Anche qui tutti sembrano essere a proprio agio ed impegnati, anche io partecipo e mi accorgo di quanto siano importanti queste attività e che ti piacciano o no fanno passare il tempo. Si chiacchiera, ci si trastulla con i materiali e il pomeriggio si riempie. Bisogna arrangiarsi e farsi piacere la realtà così come te la presentano, ma da questo si può trarre una certa soddisfazione o quantomeno serenità.
Ore 17:00 pausa.
Dopo otto ore di carrozzina la mia schiena chiede il cambio e mi tocca abbandonare per un breve periodo le stanze e la compagnia e farmi condurre sul letto, per riposare un po’. L’assistente delicatamente mi sbatacchia sul letto e mi saluta. Tempo mezz’ora e mi riprendo, vedrete!.
Passa un’ora e mi decido a “tirarmi” su e a chiamare qualcuno che mi rivenga a prendere. Pochi minuti e la combinazione astrale tra disponibilità di personale, l’insistenza mia personale e la mancanza di un’emergenza fanno allineare gli astri in mio favore ed un angelo risponde alla mia chiamata. Mi domando: “Questi sorridono sempre, ma come fanno?”. Mistero della fede!
Ore 18:00 - 19:00 sun downing syndrom
La sun downing syndrom è una sindrome depressiva causata dal calare del sole. Con l’avvento della sera le luci si affievoliscono, le ombre si allungano e il mondo esterno appare realmente lontano. In questa condizione dei deliri pregressi o degli stati allucinativi intermittenti possono scatenare una sintomatologia che va dall’ipercinesia, all’agitazione, alle allucinazioni o, come nel mio caso alla depressione.
La mia è più che altro una malinconia contingente al contesto e per parlare di depressione avrei bisogno di più giorni passati col morale a pezzi, tuttavia i pensieri che affollano la mia mente mi fanno pensare che se la mia condizione fosse permanete probabilmente questa si strutturerebbe in qualcosa di più stabile e cronico.
Sono tante le domanda e cui non riesco a dare una risposta e che mi agitano in quest’ora che mi separa dalla cena e dall’incontro con il mio cordiale commensale.
Che senso ha tutto questo? I parenti che vengono e che poi vanno via? Il cibo? Le attività? Un po’ di televisione e poi a letto, niente sembra avere senso e davanti solo tempo di attesa e nessun progetto.
Penso che riempire la vita di cose, profumi, immagini ed esperienze ti faccia accettare meglio questo “domani senza un domani”. Che le cose che hai fatto per l’intera vita, come dopo una lunga corsa, ti lasciano con l’affanno ed hai bisogno di star seduto per riprendere fiato.
Ore 18:00 le visite serali
Dannazione odio i parenti degli altri! Non fanno altro che sottolineare indirettamente che sono solo. Rompono quel tacito patto del “ci hanno abbandonati” e mi viene da isolarmi e pensare un po’ ai miei di parenti. Allora mi sposto e mi piazzo in sala tv a fianco di una carissima amica ottantenne.
Siamo molto legati e durante gli “altri giorni” ci capita spesso di far visita l’uno a l’altra. Guardiamo la cronaca in tv e mi stupisce quanto la cosa mi interessi. Guardo col fiato sospeso un programma che “in piedi” non mi sognerei nemmeno di tenerlo come fondo per il televideo. Ed invece resto li a commentare di come le cose siano cambiate, di quanti delinquenti ci sono in giro, che non si sta più sicuri nemmeno in casa propria e via discorrendo, ma con una convinzione solida, che in un certo modo mi fa apprezzare il fatto di essere al sicuro in una strutture protetta.
Ore 19:00 cena.
Dopo un’ora abbondante passata a raccontare al mio interlocutore del pranzo questa lunga e strana giornata, mi congedo e mi faccio accompagnare in camera. Questo momento, insieme a quello che mi attende alle otto di domani mattina, è da un po’ che lo ripasso mentalmente, perché è sicuramente uno dei più particolari.
Ore 20:00 prepariamoci per andare a letto
Condotto in stanza l’assistente mi introduce le prassi che caratterizzano questo momento. Mi viene chiesto se ho qualche abitudine in particolare, come andare in bagno prima di mettersi a letto, lavarsi i denti o semplicemente spogliarsi, se voglio un luce accesa o le spondine nel letto per non cadere.
Mi fa una serie di domande a cui non ho mai pensato di rispondere e che mi lasciano stranamente imbambolato. Con professionalità dolce e accudente mi mette a letto e mi spoglia, prima il sopra e poi il sotto.
Mi gira e mi rigira e mi accorgo fin da subito che lottare non serve a niente, così come provare ad aiutarlo, rischio solo di essergli d’impaccio e di fargli perdere tempo. Mi rassegno e lo lascio fare. In meno di dieci minuti mi ha spacchettato e imbustato ed ha già tirato su le coperte, cosa che credo sia stata fatta l’ultima volta 23 anni fa.
Il gesto in sé è piacevole, ma un po’ stridente anche se il motivo non mi è ben chiaro. Forse è il contesto che è insolito o forse l’accudimento e le coccole devi prendertele da chi te le da, chiunque esso sia.
Ma domani mi aspetta la doccia.
La notte passa indisturbata, c’è una calma da sanatorio al cospetto di una montagna incantata, come nel romanzo di Mann. Nessun rumore o disturbo, una baia cullata dal silenzio. Solo in piena notte i passi del medico di guardia, resi incerti dal sonno, che risponde ad una chiamata mi destano per poi lasciarmi nuovamente riposare.
Ore 6:30 la sveglia.
I primi rumori mattutini sono lievi ma in un crescendo costante, una signora si è svegliata ed inizia a chiamare.
Lo fa con insistenza, dice ”vieni qui, vieni qui”, lo fa con voce cordiale ma col passare del tempo diventa implorante e finisce per essere offensiva. Le offese sono tenui, come quelle che una persona di novantenni riesce a proferire e penso che certi termini spariranno. La mia generazione sarà molto più offensiva e sboccata.
Giuro che la tentazione di trascinarmi e gridarle di smetterla mi è venuta, urlarle “basta!”, “piantala!” ma è stato solo un pensiero, non tanto fugace, che mi ha impegnato la mente per diversi minuti.

"Una giornata particolare" Parte terza

Alcuni dei presenti, particolarmente in la con gli anni e non molto presenti a sé stessi, non mi riconoscono e non sembrano farsi domande. Altri, con cui il legame è forte sono quasi indecisi se salutarmi o preoccuparsi.
Mi chiedo come mi vedano e se pensano che la cosa in sé sia quantomeno anomala, ma una previsione in tal senso è davvero un azzardo.
Decido allora di lasciarmi trasportare dalle voci che compongono questo strano scenario da seduti, le immagini, i suoni sono un riempitivo importante per lo scorrimento del tempo, come fermarsi per strada a vedere i lavori in corso.
Chi lavora e mi conosce sotto altri vesti, passa sorridendo, mi chiede se sono nuovo e se ho lasciato qualcosa in eredità, anche gli anziani presenti partecipano al gioco e si divertono particolarmente quando si tocca lo spinoso tema dei bisogni fisiologici.
Questo ridere e scherzare mi fa pensare a quegli anziani con i quali non sono ancora riuscito a stabilire un legame; freddi e scostanti non partecipano a nessuna attività e mi guardano come un buffo e giovane dottorino.
Forse la “sedia” fa parte di questa chiusura, la corrobora, la incita, un po’ è la vergogna, un po’ è la stanchezza, forse si vuole solo essere lasciati in pace.
Per un po’ ascolto un po’ di musica. In due ore ho collezionato canzoni che mai avrei immaginato di canticchiare, perché quella più recente avrà almeno trentacinque anni.
E intanto aspetto, forse la dimensione percepita del tempo è diversa, la mia è ovviamente più rapida, calibrata su ritmi più veloci, stimolo-risposta si direbbe; quella di un anziano deve essere necessariamente diversa, più meditata, altrimenti sarebbe davvero arduo resistere dall’esplodere.
Davanti a me ho la sensazione che ci sia un gigantesco acquario, dove tutto vive solo attraverso gli occhi e le orecchie, solo che qui i pesci passano e ti salutano.
Guardandomi intorno mi accorgo quindi di come sia fondamentale riempire ogni angolo possibile di scritte o giornali, in modo da stimolare costantemente l’interesse di chi “attende”, un po’ come al bagno quando si diventa capaci di interessarci pure alle vicende degli ingredienti dell’anticalcare o del detersivo per il pavimento.
Ma nonostante tutto le lancette sembrano andare ad una velocità quasi doppia del normale ed un paio d’ore sono già volate via.
Aspetto.
La concentrazione va e viene. È un costante stato di intorpidimento, indotto dalla noia e dallo stare seduto, se a questo ci aggiungiamo i farmaci il quadro di “intorpidimento” appare più comprensibile.
A distogliermi dal torpore ci pensa il cellulare. Faccio un rapido aggiornamento dei siti che mi interessano, quando ad un tratto mi scopro a barare? Faccio bene ad usarlo? Tra cinquant’anni le carrozzine saranno wireless? Saremo sorretti da strutture robot che ci permetteranno di deambulare normalmente e che ci conserveranno autonomi e funzionali fino a centodieci anni? In attesa di scoprirlo, preferisco conservare il cellulare e di usarlo solo per ricevere, d’altra parte il 2050 è ancora lontano.
Ore 10:30
Arrivano i primi parenti, figli o nipoti che vengono in pellegrinaggio costante a far visita ai propri cari in questo strano microcosmo. Con mia somma meraviglia non si accorgono di me, io che avevo passato e ripassato a mente risposte narcisistiche a domande di stupito compiacimento, e invece nulla! Sono un elemento in un contesto troppo forte, denso, lo sfondo sovrasta la figura.
Ore 11:00 inizia la ginnastica.
Arriva l’operatore che tutti i giorni fa ginnastica dolce con un gran numero di anziani. L’attività è infatti molto richiesta e la sala si riempie oltremodo. Iniziano i primi movimenti, ma l’attività è tutta focalizzata sulle gambe e le mie non sembrano muoversi un granché. Non mi resta che guardare gli altri muoversi e se per il calcio è eccitante qui è piuttosto avvilente.
Ma, un’esigenza si insinua, da una decina di minuti, in un punto esatto posto al centro della carrozzina. All’inizio ho fatto finta di niente, dicendomi che era troppo presto, ero stato attento ad andarci prima di sedermi definitivamente. Ma niente, il pensiero si fa largo e lo stimolo aumenta: devo andare in bagno. Parte l’ansia.
Con risolutezza mi dico che più aspetto e più è peggio, devo immediatamente chiedere assistenza, forse per questo che certe volte “loro” diventano così assillanti. E’ un mix tra esigenza fisiologica moltiplicata dalla dipendenza psicologica, caricata dallo stress di stare sempre seduti e di vedere gli altri muoversi come mosche. Una bomba ad orologeria.
Come mi aspettavo alla richiesta di andare in bagno ed essere accompagnato, si crea una certa tensione. Sarà un esame? Penseranno in molti. Ed invece sono solo io che sto per esplodere. L’assistente prescelto mi accompagna in bagno e mi fa sedere sul gabinetto, il seguito lo tralascio, perché di scarso interesse. Il tutto in dieci minuti, che assicuro saranno gli ultimi. Non ci andrò più in bagno per tutto il giorno. Blocco totale.
La ginnastica termina di li a poco, un’ora interessante e la fame inizia a farsi sentire. Nell’attesa tengo per mano una signora che credo non mi abbia riconosciuto e che forse mi confonde con qualcun altro. Restiamo così, in silenzio, mano nella mano a guardare davanti a noi. Trovo pace, tutto si ferma e assume un significato che ancora mi sfugge.
Il tempo non ha margini né confini.
Ore 13:00 pranzo
Seduto al tavolo discorro amabilmente con un anziano che conosco da tempo e che si dimostra subito molto complice e rispettoso della cosa che sto facendo. Chiacchieriamo per un’oretta del più e del meno, come se fossimo seduti ad un bar, ma su strane sedie con i manici per la spinta. Alla fine ci salutiamo e ci diamo appuntamento per la cena.
Ore 14:30 iniziano le attività pomeridiane
Dopo un oretta passata disteso a far sbollire la stanchezza da seduta forzata mi vengono a prendere per le attività del pomeriggio. In programma due laboratori paralleli, gestiti da due educatrici professionali.
Prima sosta, mi inserisco in un gruppo da poco formatosi e iniziamo a preparare le decorazioni pasquali, che di li a qualche giorno faranno da merletto alle pareti della struttura. La prima ora la passo a fianco di un’anziana signora che adoro e che da quando sono arrivato in struttura mi chiama o “fiorello” o “sorcetto” a seconda dei giorni.

"Una giornata particolare" Parte seconda

Tuttavia raccolsi la sfida e nonostante facessi finta che la cosa non mi preoccupasse affatto, i giorni passavano troppo rapidamente e mi conducevano direttamente al giorno prefissato per la simulata. L’ansia sempre ben controllata aumentava e la notte alcune immagini davano corpo alle mie preoccupazioni.
Tuttavia il tempo è democratico e passa nonostante tutto.
Giorno stabilito ore 9:00
Arrivo a lavoro e sistemo le mie cose nella stanza che mi è stata assegnata. La osservo con calma e con occhi più da “ospite” che da “ospitante”, in fin dei conti li sul letto ci sono le mie cose, per terra le mie ciabatte e addosso non ho il camice ma un maglione.
Con cura sistemo lo spazzolino e il deodorante nel bagno e mi accorgo di essere stato un disastro nell’organizzare la valigia, molte cose necessarie sono bellamente riposte nei pacifici ed ignari cassetti di casa mia.
Finito di organizzare le ultime disordinate cianfrusaglie inizio un progressivo avvicinamento alla sedia a rotelle. Ci scrutiamo con diffidenza ma purtroppo non ho scelta, come non ce l’ha nemmeno lei. Scansati gli ultimi indugi mi accomodo e sistemo, negli spazi liberi, il blocco che riporterà tutte le mie riflessioni della giornata, gli occhiali e la bottiglietta d’acqua, per ogni evenienza.
Sedersi su una carrozzina ha qualcosa di sacro, è come sedersi su un simbolo che racchiude con forza una serie di significati tutti con connotazioni fortemente contrastanti, è di ferro ma ti rende impotente. Da una strana sensazione, è avviluppante, comoda e accogliente, ma solo all’inizio perché sai che da lì non ti rialzerai più.
Provo una forte resistenza a farmi vedere in pubblico, vergogna è la parola più appropriata. La vergogna di scherzare con qualcosa di tragico, il timore di essere frainteso da chi in quella condizione vive in maniera permanente, ma è una cosa che sento di dover fare e cha da troppi giorni mi rincorre. Allora muovo i primi passi con i raggi, mi faccio coraggio e provo a farmi vedere.
Provo da subito ad impennare con la carrozzina, per provare che sono ancora forte e giovane, ma è solo un rigurgito che fermo immediatamente, devo infatti sperimentare la dipendenza, la non autosufficienza allora mi fermo e aspetto che qualcuno venga a prendermi.
Aspettare, credo sia questo uno dei verbi più esperiti da un anziano, aspettare che mi portino, che mi diano da mangiare, che mi portino al bagno, il passivo diventa un paradigma dominante, non è più la prima persona singolare a regolare il quotidiano, ma la quasi totale dipendenza dagli altri.
Di li a pochi minuti un assistente viene e si sistema dietro di me per portarmi nella sala centrale.
Essere spinti dà un certo brivido indefinibile, vorrei godermi l’andatura rapida, ma ho paura di sbattere e di non potermi fermare in tempo. Fortunatamente trovo “parcheggio” e tra gli sguardi indecifrabili degli altri anziani mi chiudo in un mutismo elitario.

"Una giornata particolare" Parte prima

Qualche tempo fa la direttrice della casa di riposo presso la quale svolgo il ruolo di coordinatore, mi aveva chiesto di scrivere un articolo che descrivesse in linea generale la vita all’interno di una casa di riposo, che ne ripercorresse i ritmi e ne sottolineasse i diversi vissuti che si alternano in una giornata tipo.
Di li a pochi giorni, percorrendo la strada che da casa mi separa dalla struttura, mi sono ritrovato casualmente a pensare a cosa una persona in sedia a rotelle riesca a vedere e se il fatto di dover costantemente torcere il collo per guardare il volto di chi gli parla non faccia perdere la voglia di comunicare o di chiedere.
Successivamente, avvicinandomi al cancello della struttura, la riflessione che per un lungo tratto mi è ronzata per la testa, si è collegata all’immagine reale e presente del cancello chiuso davanti a me. Come unire le due cose?
Mi è sembrato quindi naturale e consequenziale chiedere alla direttrice se una simulazione di ricovero poteva essere un argomento interessante per l’articolo.
L’idea è sostanzialmente semplice, simulare di essere un anziano parzialmente autosufficiente per un giorno intero, sottoponendomi a tutte le “cure” che una casa di riposo può offrire.
Ovviamente il confine tra autosufficiente e non è difficilmente superabile da un ventottenne autonomo e ancora, si suppone, nel pieno delle proprie capacità psicofisiche, per cui l’utilizzo di un ausilio che rendesse le cose meno fluide pareva d’obbligo. La soluzione è stata abbastanza ovvia, la sedia a rotelle, che mi avrebbe accompagnato per 24 ore, dalle nove alle nove del mattino seguente.
Il passo successivo è stato quello di avvisare lo staff e alcuni degli anziani che quotidianamente fanno parte della mia personalissima vita relazionale, parallela a quella lavorativa.
Il feedback immediato da parte degli operatori è stato di spontanea ilarità e sconcerto per la proposta da me fatta, successivamente si sono subito “rigirati” il futuro anziano scaricandolo bonariamente tra l’uno e l’altro.
La risposta degli anziani è stata invece diversa. Una sottile ammirazione si è subito manifestata, seguita da una celata sfida a resistere, soprattutto a causa della sedia a rotelle.
L’idea è sembrata loro valida anche se ritenevano impossibile, a ben ragione, che sarei riuscito ad immedesimarmi realmente in una dimensione sfuggente e spesso carica di sofferenze, una realtà difficile da comprendere per chi è sano o autosufficiente.